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DEEP CARBON LAB

" Tredici giorni nel sud-ovest della Groenlandia, a caccia dell’idrogeno naturale: probabile fonte di energia per le prime forme di vita terrestri, e possibile risorsa energetica pulita per le attività umane. Nonostante imprevisti e maltempo, la ricerca condotta sulle rocce della “terra verde” potrebbe rappresentare un punto di svolta per il progetto ERC DeepSeep.

Una volta atterrato a Nuuk e ottenuto i permessi per le attività scientifiche, il team del Deep Carbon Lab di Bologna, a cui si sono uniti un ricercatore del CNR di Torino e un altro dell’Università di Copenhagen, si imbarca verso Sud. Le condizioni di navigazione non sono semplici a causa della deriva dei ghiacciai, mai stati così abbondanti negli ultimi 20-30 anni. Condizioni, queste, in conflitto con quelle che si respirano nel resto del mondo, dove si registra (l’ennesimo) mese più caldo della storia.

Qui occorre essere più veloci del temporale previsto e raggiungere la prima tappa: il villaggio costiero di Paamiut, per rispettare le tempistiche richieste dalla spedizione. Perdere qualche giorno vorrebbe dire compromettere l’intera spedizione, occorre raccogliere il maggior numero possibile di campioni di roccia a colpi di martello e scalpello. Come dei detective, lente di ingrandimento alla mano, i ricercatori sono infatti a caccia di indizi sull’interazione tra idrogeno e carbonio presente in particolari rocce risalenti a quasi 2 miliardi di anni fa ed emerse in superficie nelle epoche geologiche.

Come quello industriale, l’idrogeno naturale produce acqua (e non CO2) mediante combustione, ma non richiede alcuna fonte esterna di energia per essere prodotto. Ecco perché scoprire come si origina questo idrogeno naturale e come reagisce con le rocce della crosta terrestre potrebbero portare allo sfruttamento dell’energia pulita presente naturalmente nel sottosuolo. Un cambiamento epocale, fatto di tappe intermedie e mesi di studio al microscopio.



" A Paamiut vengono raccolti alcuni campioni portati in superficie grazie a dei lavori in un cantiere vicino al piccolo aeroporto. Un elemento di studio raccolto da uno stop forzato dalle condizioni meteo e marine, che rendono la Groenlandia una regione ancora oggi remota e complessa.

Quando il cielo si riapre occorre imbarcarsi nuovamente verso la seconda tappa: Arsuk, cinque ore di navigazione tra fiordi e iceberg ancora più a sud. Anche in questo caso anticipando piogge, il vento che sposta il ghiaccio marino riconfigurando il profilo della costa, e il moto ondoso. L’isoletta che si trova di fronte ad Arsuk presenta le formazioni rocciose sulle quali i ricercatori vogliono mettere le mani. La frattura di alcune rocce test sembrano presentare strutture simili a quelle studiate nelle altre zone, a conferma della presenza di idrogeno.





“Nei prossimi mesi ne sapremo di più grazie agli studi in laboratorio, ma le osservazioni preliminari confermano le premesse di una scoperta potenzialmente importante”, spiega Alberto Vitale Brovarone, geologo a capo della spedizione.

La tappa successiva, nella piccolissima isola di Storø, si rivela essere altrettanto sorprendente. Nei pressi di una piccola baia, un arcobaleno di minerali sotto la lente rivela gli effetti del metamorfismo di contatto. L’attività magmatica del sottosuolo può essere stata originata anch’essa causa della formazione di idrogeno, ma di un altro tipo. I ricercatori prendono appunti.

Il rientro ad Arsuk permette di raccogliere altre rocce, nei pressi della miniera di Ivittut, contenenti cryolite. Proprio in quell’area ricerche precedenti hanno rivelato la presenza di metano nei fluidi delle rocce, che potrebbero aver reagito perfettamente con l’idrogeno. Un altro elemento da aggiungere nello zaino. Alla fine, saranno oltre 200 i campioni di roccia raccolti durante la spedizione.

Una spedizione scientifica che, si spera, aggiungerà un altro mattone alla teoria dell’idrogeno naturale e alla consapevolezza di poter fare un passo importante, quanto necessario per le generazioni future.


All'origine della vita sulla Terra

È nella nostra natura (outdoor e non) indagare sull’origine di ciò che ci circonda, per comprendere meglio il nostro stile di vita attuale e immaginare come potrebbe cambiare. 
Quello che era semplice curiosità negli ultimi anni è diventato istinto di sopravvivenza, da quando abbiamo capito che possiamo solo adattarci ai fenomeni che trasformano le nostre montagne, e noi con esse.

Il progetto scientifico Deep Seep indaga l’origine dell’energia terrestre e su altri pianeti, contribuendo agli studi sull’evoluzione della vita e del clima anche sul nostro Pianeta. Attraverso il programma Help The Mountains abbiamo deciso di supportare le attività del Deep Carbon Lab, il laboratorio italiano dell’Università di Bologna che fa parte del progetto Deep Seep.

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DA DOVE PROVIENE L’ENERGIA CHE DA’ ORIGINE ALLA VITA SULLA TERRA?

Molte delle fonti energetiche di cui la vita ha bisogno, come l’idrogeno e il metano, sono di origine biologica. Nonostante ciò, esistono altre forme di idrogeno e metano naturale che si formano dall'interazione tra fluidi geologici e rocce. I processi e gli ambienti in cui si sviluppano sono ritenuti un tassello fondamentale per la nascita della vita sulla Terra, proprio perché le prime forme di vita avevano bisogno di questa energia geologica.

E ancora oggi, un ecosistema profondo e nascosto ai nostri occhi nel sottosuolo terrestre, fino anche a diversi chilometri di profondità, ha bisogno di questa energia per potersi sostenere.

IN COSA CONSISTE L’ATTIVITA’ DEL DEEP CARBON LAB?

Per studiare la presenza e l’impatto dell’energia nel profondo della Terra, geologi e geologhe della Università di Bologna percorrono valli e falesie rocciose alla ricerca di rocce “spia” emerse in zone remote in cui l’attività della tettonica delle placche è stata particolarmente intensa. I campioni di roccia vengono poi studiati in laboratorio per comprendere le proprietà dei minerali che li compongono e il loro (eventuale) coinvolgimento nelle reazioni chimiche con l’idrogeno. Frammenti di roccia di centinaia di milioni di anni fa possono dunque raccontarci una storia di energia e vita primordiale sulla Terra altrimenti sconosciuta e imperscrutabile.

QUALI RISULTATI SONO STATI OTTENUTI FINORA?

Dai campioni raccolti nelle precedenti spedizioni - Italia, Mongolia, USA (Vermont), Corsica - i membri del team del Deep Carbon Lab hanno osservato la presenza di bolle di gas intrappolate nei minerali composte da metano e idrogeno, e dovute a particolari reazioni tra i fluidi geologici e i minerali profondi, in particolare l’olivina. Tra le questioni irrisolte, la più importante riguarda la presenza di questa energia negli strati più profondi della Terra e come la presenza di questi composti potrebbe rivoluzionare la comprensione dell’evoluzione geologica e biologica della Terra. Tutto ciò potrebbe cambiare profondamente il nostro approccio all’energia e alla vita su questo e altri pianeti, ma anche il modo di combattere il surriscaldamento globale. Ad esempio, l’idrogeno naturale prodotto da queste reazioni geologiche potrebbe rappresentare una risorsa importante per il futuro energetico della società moderna. Questa molecola, infatti, bruciando non produce gas a effetto serra ma semplicemente acqua.

L’attività sul campo proseguirà nel 2024 con la spedizione in una zona remota nella Groenlandia meridionale, in una regione chiamata  Nanortalik - “Il posto dove vanno gli orsi polari”. Qui, diversi indizi suggeriscono una complessa e intrigante storia geologica in cui fluidi ricchi di carbonio e idrogeno passano attraverso la grafite, un minerale importantissimo per lo stoccaggio geologico del carbonio e un componente fondamentale  per le batterie elettriche del futuro.

HELP THE MOUNTAINS 

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