
Sfortunatamente le cose non sono andate secondo i piani. A causa di un principio di congelamento, siamo dovuti tornare indietro e la spedizione si è conclusa con un nulla di fatto.
Immagino sia un’evenienza da prendere in considerazione quando si scalano le montagne più alte. Delusi?
Per certi versi sì. Ma l’Annapurna non va da nessuna parte e penso che imparare dai fallimenti, piuttosto che ignorarli, sia importante per trovare l’energia per continuare la nostra vita in modo più intelligente e più forte.
Di solito la gente chiede: Com’era, freddo?
Beh sì, ma solo a volte. Non è il Polo Sud. Nelle belle giornate, al campo base faceva parecchio caldo. Naturalmente, il mattino presto, quasi in cima alla montagna, è tutto un altro discorso. Se poi c’è il vento, il freddo è davvero ostinato e penetra fin nelle ossa. C’è anche un altro tipo di freddo, quello che ti entra nella mente prima di attraversare un crepaccio infido o un seracco.
Quanto è stato difficile?
Non così difficile, immagino, perché ci stavamo ancora acclimatando sulla via di salita normale. Probabilmente non sono molto bravo a raccontare, ma anche la descrizione delle difficoltà incontrate durante la spedizione è puramente soggettiva e spesso non si usano termini tecnici o particolari, come sporgenza, super veloce, bicipite, ecc.. Quindi è una sfida anche per chi ascolta, cercare di capire quale sia stata l’esperienza, perché è impossibile raccontare una scalata solo con numeri, orari e gradi. Nessun orologio sofisticato, applicazione o programma informatico può davvero riassumere un’esperienza alpinistica semplicemente per mezzo di numeri e grafici.
Cosa viene dopo?
Ho già dei progetti per il futuro e spero di essere fortunato e che questa non sia stata la mia ultima spedizione sul tetto del mondo.
experience by
LUKA STRAZAR